Rumore di Acque
Luglio
2012
di Marco Martinelli
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
regia Marco Martinelli
in scena Alessandro Renda
musiche originali eseguite dal vivo Fratelli Mancuso
spazio, luci, costumi Ermanna Montanari, Enrico Isola
direzione tecnica Enrico Isola
tecnico del suono Andrea Villich
con il patrocinio di Amnesty International
coproduzione Ravenna Teatro, Ravenna Festival, Circuito Epicarmo, Sensi Contemporanei
“Il primo racconto di traversata che ho ascoltato a Mazara, nella sede della San Vito Onlus, è stato quello di una minuta, coraggiosa donna tunisina: timida, col suo italiano spezzettato tra i denti, faceva fatica ad alzare gli occhi. Ho cambiato il suo nome in Jasmine, ho trasfigurato la sua storia mantenendone gli aspetti essenziali. È la prima che ho ascoltato ed è anche l’unica storia, tra quelle evocate dal generale, che riguarda non un annegato o uno scomparso, una morte, ma una vita che si salva. Si salva davvero?
Siamo innocenti noi? Sono innocente io? Di tutte quelle tragedie che avvengono altrove, lontano dalla mia casetta, posso ritenermi non responsabile? Che c’entro io con la morte di mio fratello?
Quel generale acido e nevrotico, quel funzionario che ne ha le scatole piene di star lì a contare numeri e morti e metterli in fila, un lavoraccio, tutti i giorni così, pure mal pagato da quelli delle capitali, quel ragionierino demoniaco e sarcastico, quello spettatore impotente davanti ai telegiornali, quello, proprio quello, siamo noi. Sono io. Quel volto che ora finalmente si volta, metà umano metà animale, che mi guarda diritto negli occhi, è il mio.
Lo sproloquio è venuto fuori di getto, un flusso inarrestabile di numeri e immagini. Mi rileggevo tutto quel che mi ero appuntato nel mio quaderno dei viaggi a Mazara, durati più di un anno. Storie e racconti, ma non solo. Il canto del muezzin sul suolo italico. Le viuzze intricate della casbah. Il verde squillante delle cupole della cattedrale; e Alessandro, che riprendeva tutto quel che poteva con la telecamera, imparava frammenti di tunisino e rivedeva sotto altra luce le sue radici mazaresi, ricucendo genealogie e arazzi di storie famigliari.
Questo oratorio per i sacrificati, i Fratelli Mancuso lo hanno arricchito con le loro potenti voci di satiri antichi, che sembrano gridare il dolore dell’umanità dal fondo di un abisso” (Marco Martinelli).