Lontano
Luglio
2022
di MASSIMO CIRRI
con LAURA CURINO e MASSIMO CIRRI
musiche di ROBERTO PASSUTI e GIACOMO BERTOCCHI
Sul volo di Ustica, su settantasette passeggeri, c’erano undici persone che viaggiavano per curarsi. O che accompagnavano una persona in viaggio per motivi di salute. O che erano state a trovare un parente ricoverato lontano.
Ogni anno centinaia di migliaia di italiani lasciano casa e si spostano per curarsi meglio o perché vivono in pezzi di paese in cui curarsi non è possibile. Aggiungendo fatica e sofferenza alla sofferenza della malattia.
Ottantuno persone su un aereo. Quattro membri dell’equipaggio, settantasette passeggeri.
Sono saliti a Bologna, sono persone comuni. C’è un dentista, un insegnante di scuola media, un commerciante di carni, due che si occupano di macchinari per l’estrazione del marmo, sette casalinghe, due carabinieri, un operaio, un’avvocato, otto impiegati e impiegate, due ingegneri, un magistrato, una laureata in ingegneria nucleare e uno che fa surgelati.
E ancora – li vediamo mentre prendono posto sui sedili e sistemano le borse – due commercianti, un agente di cambio, un agente di pubblica sicurezza, un piastrellista, un fotografo, un assicuratore, un maresciallo di finanza in pensione.
E poi, sparsi nelle file, un manovale edile, un perito metalmeccanico, un assistente di analisi matematica, due tecnici della Snamprogetti, due che lavorano in banca, quattro ragazzi e ragazze, studenti, e una baby-sitter che fa la baby sitter della figlia della signora laureata in ingegneria nucleare. La bambina si chiama Alessandra. Ha 5 anni. Sull’aereo ci sono anche 11 bambini.
Sull’aereo ci siamo noi, persone comuni, gente presa a caso. Le persone su un’aereo sono campione statistico, il ritratto di un pezzo di mondo in un dato momento. Come un carotaggio, il tubo che entra nel terreno e preleva un campione, appunto, che spiega com’è fatto un pezzo di mondo. La carlinga di un aereo è un tubo con le ali: intrappola un po’ di persone per qualche ora di volo. Ci dice chi siamo. Di cos’è fatto il corpo sociale.
Settantasette vite in viaggio. Ognuno per i suoi motivi.
C’è chi va al matrimonio della sorella di un amico, chi va in vacanza, ci sono tanti che viaggiano per lavoro. C’è c’è chi va ad un congresso, chi al compleanno della figlia, chi torna dalla laurea del fratello. C’è chi torna a casa per rimettersi in sesto: “diretto a Palermo presso i propri familiari, in congedo straordinario ottenuto a seguito di una contusione tibio-tarsica destra”. C’è chi è stato a casa dei figli: “rientrava da Bologna dopo aver fatto visita ai figli, entrambi colà residenti”.
Un carabiniere è in permesso; il maresciallo in pensione della Guardia di Finanza si è “recato a Mantova per prelevare le nipoti”, Daniela e Tiziana.
Un passeggero è stato Padova per definire la pratica della vendita di due immobili ereditati dalla moglie. Una signora “rientrava a Palermo da Modena dove si era recata per definire delle pratiche burocratiche”.
Poi forse c’è un gruppo particolare. Sembra esserci un filo che unisce alcune di queste vite e quindi – loro sono un campione di quello che siamo – che unisce anche noi. Ce ne sono molti di fili: il più importante è che sono tutti innocenti. Vittime innocenti di una quasi guerra. Noi ne tiriamo uno:
-Calderone Maria Vincenza in viaggio dopo essersi sottoposta a visita medica di controllo presso l’ospedale di Bologna, conseguentemente ad un intervento chirurgico subito all’arto inferiore destro, presso lo stesso ospedale;
-Fontana Vito, insieme con i propri congiunti Parrinello Francesca e Parrinello Carlo, rientravano da Padova, ove si erano sottoposti a controlli sanitari specialistici;
-Fullone Rosario rientrava a Palermo dopo aver accompagnato la consorte Volpe Maria sottoposta a visita di controllo che effettuava periodicamente presso il Centro specializzato degli “Ospedali riuniti di Pisa” in quanto affetta da malattie renali;
Con loro viaggia la figlia, Carmela, di 17 anni
-Norrito Guglielmo rientrava dopo aver fatto visita al fratello ricoverato in ospedale;
-Pinocchio Antonella e suo fratello Giovanni, rientravano a Palermo dopo aver visitato a Bologna la propria madre ricoverata in un ospedale di quella città;
Sono 11. Undici su 81. Se togliamo i 4 membri dell’equipaggio, dio ci perdoni, sono 11 su 77. 11 passeggeri su 77 viaggiavano per curarsi o per accompagnare qualcuno che si sta curando o per andare a fargli visita mentre è in ospedale. Visitare gli infermi: un’opera di misericordia.
11 su 77. Tanti.
Quel campione di mondo che c’è su quell’aereo ci dice di quando e quanti siamo noi che ci mettiamo in viaggio per curarci.
Si chiama “Migrazione sanitaria”. Riguarda centinaia di migliaia di persone. Spostarsi per curarsi. C’è lo spostarsi per curarsi meglio: quando si va alla ricerca della qualità delle cure, comprensibilmente, ma non c’è a rischio la vita.
E ci sono le scelte senza scelta: perché dove si vive è impossibile curarsi. O c’è una lista d’attesa infinita. E allora si viaggia per salvarsi la vita. Da sud a nord dell’Italia, da Palermo a Bologna, come su quel volo di ritorno.
Alla sofferenza di una malattia grave si aggiunge la fatica di spostarsi: “Difficoltà moltiplicate”, dicono quelli che studiano la questione: una sofferenza grave più viaggi lunghi e costosi; l’essere malati più il trovarsi in una città dove non si è mai stati; l’interrogativo “riuscirò a guarire” più la preoccupazione per mia moglie che ha dovuto assentarsi dal lavoro per starmi vicino: per quanto potrà andare avanti?
Quando il malato è un bambino, si chiamano “migrazioni pediatriche” tutto si moltiplica. Una fatica che spacca in due la vita dei genitori e di fratelli e sorelle. Squilibri con la scuola, strappi da ricucire continuamente.
“100mila persone all’anno – scrive il CENSIS – a cui si aggiungono 80mila accompagnatori, che devono affrontare una prova durissima, forse la più dura della loro esistenza, a cui la collettività sa fare fronte solo con la buona volontà del personale sanitario e e con uno sparuto gruppetto di associazioni e di privato sociale, che accoglie fisicamente e moralmente”
Una associazione l’ha fondata la signora Lucia. Quarant’anni fa, a Milano, quando è una giovane mamma di quattro figli. Uscendo di casa per accompagnarli a scuola, in un istituto di suore, ogni mattina, vede persone che dormono sulle panchine di Piazzale Gorini. E lo capisce subito che non sono clochard, gente senza casa. Sono diversi. Sono stropicciati ma hanno addosso molta dignità, dice. Lì vicino c’è l’Istituto Nazionale dei Tumori e quelle sono persone che, di giorno, sono in cura lì, e la notte, per mancanza di mezzi e provenendo da fuori Milano, non hanno un alloggio dove stare. O sono i parenti dei ricoverati. “Li vedevo angosciati e disorientati, dice, il mio cuore si ribellava”.
Comincia a parlare con loro e si chiede cosa si potrebbe fare.
Raccontiamo un po’ di queste storie