Il Nascondiglio
Luglio
2022
di CHRISTOPHE BOLTANSKI
adattamento drammaturgico di ELENA BUCCI
cura e drammaturgia del suono RAFFAELE BASSETTI
con ELENA BUCCI
serata dedicata a Christian Boltanski con introduzione dell’autore
progetto realizzato in collaborazione con compagnia di teatro Le belle bandiere
note per una rilettura de ‘Il nascondiglio’ di Christophe Boltanski
In questa occasione, creata dall’affetto e dal sentimento di giustizia, sento battere il cuore della grande storia con i suoi silenzi di pietra e i cangianti battiti delle innumerevoli vite e voci che da essa sono mosse e travolte. Attraverso la pratica della memoria e la trasformazione dell’arte la celebrazione del lutto, tanto necessaria quanto spesso elusa, crea visioni, emozione, coraggio, comunità.
Così accade in questo primo libro di Christophe Boltanski, nipote di Christian Boltanski. Ci addentriamo nella storia della loro famiglia non per stabilire un rapporto di causa-effetto tra biografia ed opera d’arte, ma perché la bellezza del racconto è tale da amplificare l’immaginazione e mostrarci l’artista sia come genio solitario che come cassa di risonanza di vite e storie rimaste senza voce. L’autore sa trasformare il suo racconto del passato in un’esilarante e commovente favola dove si affacciano creature talmente vive da diventare familiari. Ci invita a ritrovare anche la nostra storia con sguardo nuovo, a farne saggezza. Come l’illustre zio, miscela con sapienza arte e memoria.
Entriamo in una famiglia ‘anarchica e aperta’, ‘non reclusa, ma saldata’, che fa della propria unione una forza per attraversare sia le grandi bufere della storia come il nazismo, sia le piccole ma devastanti tempeste quotidiane, difendendo la propria originalità, il gusto di coltivare le contraddizioni, la libertà, l’estro, diventando una navicella in viaggio attraverso la vita.
Questo libro incarna alcuni dei miei più radicati e infantili desideri, nati quando mi sono scoperta orfana di una tradizione millenaria di trasmissione di racconti e memorie, cancellata da un’idea di progresso che ci ha separati in molti piccoli nuclei e reso forse più soli. Forse per questa mancanza pratico il teatro e ho sempre sognato di valicare tempo e spazio ed entrare in altre vite. Quando passo in treno accanto ai palazzi, quando passeggio per le città nell’ora magica del passaggio dalla luce al buio, dal buio alla luce, non riesco a distogliere lo sguardo dalle finestre illuminate, quasi fossero mie, di qualche parente, di qualche avo. Chi vivrà mai là dentro, cosa pensa, cosa sogna? Quali saranno le vicende tramandate nel tempo che le persone là dentro chiamano ‘storia della famiglia’? Quali i fatti che diventano epici, tragici, comici, che si arricchiscono di particolari e colori ad ogni racconto, a seconda della visione di chi li interpreta e li rivive? Quali fantasmi abitano ancora le rovine?
L’autore, con tutta la sua poetica ironia ed intelligenza, prende per mano anche me bambina e mi conduce proprio là, attraverso spazio e tempo, nelle auto, nei cortili, nelle stanze, nei nascondigli di quella casa dalle finestre illuminate dove vive e sogna la straordinaria famiglia Boltanski, della quale alcuni componenti sono di origine ebraica. La necessità di nascondersi e proteggersi dalla violenza e dal conformismo diventa l’occasione per fondare un’esilarante e resistente comunità familiare, sempre allacciata, amata e odiata, che tra contraddizioni, limiti e meraviglie garantisce a tutti i suoi membri la loro originalità, tiene salde le radici e guarda al nebbioso futuro, crea terreno fertile per gli artisti. La scrittura mi rivela le profonde somiglianze delle anime, godendo allo stesso tempo delle loro frastagliate differenze.
Ritrovo il coraggio di ribellarmi al potente condizionamento della miriade di micro e macro segnali che ci spingono, in funzione del mercato e di una obsoleta idea di economia, ad essere conformisti credendo di essere unici, soli credendo di essere liberi, a trasformare la potenza sovversiva dell’atto artistico in un passatempo inoffensivo, in un addormentamento a pagamento.
Circondata da questa folla variopinta e irriducibile, ritrovo la fiducia nelle arti, antidoto all’oblio, alla violenza, alla paura e all’omologazione, cura per ogni fragile differenza. Sono grata a chi ha attraversato tragedie cantando e danzando. Sento con più forza che tutti, ma proprio tutti, abbiamo il diritto di essere artisti delle nostre stesse vite.
E mi consolo dello sgomento che ho provato guardando un documentario che continuo a citare per la sua intensità e nel quale si analizzavano i grandi mutamenti che stiamo vivendo per la prima volta nella nostra epoca, a partire dallo sconvolgimento del millenario equilibrio del nostro pianeta. Si raccontava come presto, se non vi si porrà rimedio, la fauna e la flora di ogni angolo del pianeta saranno identiche, con meno colori, meno suoni, minor meraviglia, in nome della vittoria delle specie più forti e rapaci su quelle più fragili e miti.
Elena Bucci
Con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea