Il Muro di Gomma
Giugno
2010
a cura di Cineteca di Bologna
saranno presenti il regista Marco Risi
e lo sceneggiatore Andrea Purgatori
Il muro di gomma è a un primo livello la ricostruzione di un fatto di cronaca, a un secondo livello un apologo sull’incomprensibilità delle istituzioni. Il compito del giornalista è proprio “svelare” questo mistero, fare luce sui meccanismi, piuttosto che trovare i nomi dei colpevoli. La cosa affascinante è che questa incomprensibilità esiste in qualche misura anche nell’istituzione-giornale.
Ne è esempio l’altoparlante da cui esce la voce del direttore (“doppiata” da Dino Risi, il padre di Marco), simbolo di un’autorità enigmatica, forse inesistente. È la conferma che spesso sono delle voci fuori campo a dare al film i suoi momenti forti (la lettura dei nomi, le telefonate ricevute da Rocco), ma il bello è che quel marchingegno è una delle cose più realistiche del film: nelle redazioni periferiche dei giornali (e tale è la redazione di Roma per un quotidiano milanese come il “Corriere”) le riunioni del mattino, quelle in cui si discutono i servizi della giornata, si svolgono davvero così. Alla fine, le istituzioni restano lontane, distanti. In questo senso Il muro di gomma deriva direttamente, all’interno della filmografia di Risi, da due strazianti scene di Ragazzi fuori: quella in cui Mery viene condannato da un tribunale gelido e indifferente, e quella – conclusiva – in cui la polizia scopre un cadavere nella discarica, e commenta “uno di meno”.
Un’altra lettura, meno evidente e sicuramente più discutibile, è quella di Il muro di gommacome un sottile apologo sulla nostra quotidianità, e sulla cultura popolare ad essa collegata. Quando gli ambienti non sono kafkiani, sono consueti, vissuti.
La sequenza in cui i due momenti si incontrano è quella, a nostro parere straordinaria, in cui Rocco porta la copia fresca di stampa del “Corriere” ai generali, che stanno cenando, ancora una volta, in trattoria. Li trova che cantano. Prima Funiculì funiculà, poi Nessun dorma. E nell’esecuzione di questa romanza daTurandot c’è tutto il senso del film: la volgarità degli uomini in divisa, il loro essere una sorta di enigma vivente. La commedia, il thrilling e il dramma racchiusi in una singola immagine di grande potenza.
(Alberto Crespi, “Cineforum”, 1991)